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Marina. Nemmeno io sapevo di essere un poeta.

Lo spettacolo vuole contribuire, con sempre maggiore sistematicità e attrattiva, alla conoscenza della poetessa russa Marina Cvetaeva, forse la più importante e significativa autrice del primo Novecento europeo, capace di influenzare sensibilità e immaginario collettivo popolare dal secondo dopoguerra a oggi. 

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La pièce è stata ospite del Festival Nazionale "AstiTeatro 45", ha ricevuto Menzione Speciale al Concorso Nazionale "Donne da Palcoscenico" di Rovigo ed è foriera di apprezzamento da parte della critica specializzata e di commozione da parte del pubblico, come dimostrano i molteplici messaggi di gradimento pubblicati sulle pagine social (vedi pagina Instagram "Quizzy Teatro").

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Allo spettacolo è possibile abbinare un laboratorio di recitazione e danza, nonché un approfondimento sulla scelta delle opere, della regia, dell'interpretazione e delle circostanze esistenziali affrontate dal "personaggio" Marina Cvetaeva.

Omaggio in poesia, prosa poetica e danza alla grande poetessa russa Marina Cvetaeva: amore e assenza d'amore sullo sfondo del primo '900

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Regia e coreografia: Tatiana Stepanenko


Interpreti: Monica Massone, Giorgia Zunino, Tatiana Stepanenko


Foto e video: Ivano Antonazzo


Produzione e organizzazione: Tatiana Stepanenko e Quizzy Teatro di Monica Massone

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L'opera narra la Storia - ossia un periodo compreso tra il 1892 e il 1941 - attraverso l'impatto che Rivoluzione, Guerra ed Emigrazione ebbero sulla vita privata e professionale, sulla psiche, sull'emotività e, in generale, sul complesso di crisi e conflitti, affettivi e lavorativi, che segnarono con travaglio l'esistenza di Marina Cvetaeva.

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La Storia d'Europa si riflette, quindi, sulla storia di Marina Cvetaeva, autrice che riassume e rielabora in modo personalissimo correnti, generi, stili e tematiche, sino a divenire un unicum, un artista senza eguali, nel panorama letterario non solo europeo, ma mondiale in senso lato. E "mondiale" Cvetaeva sente essere la sua appartenenza alla vita, una "cittadina del mondo", sia per formazione (fu, infatti, studentessa di lingua e letteratura tedesca in Germania), che per sentimento di "universalità"; la "Russia che è in me", come dichiara Cvetaeva, permea il suo continuo peregrinare alla ricerca di una "casa", di una sicurezza e di una stabilità, attraverso la Cecoslovacchia, la Francia e la stessa madrepatria, ormai ridotta a "un sibilante coacervo di consonanti", una terra avvertita come sconosciuta e inesplorata dopo Guerra Civile e avvento al potere del Comunismo sovietico.    
 

Attraverso ciascun personaggio con cui Cvetaeva si relaziona, si scopre la Storia nella realtà del dolore quotidiano, ogni luogo abitato dall'autrice corrisponde a una sofferenza precisa: la solitudine di Mosca, la disillusione di Praga, l'emarginazione di Parigi, la speranza simboleggiata da un treno in corsa nella notte per fare ritorno in Patria, l'aspettativa di una gioventù interrotta dalla violenza, dalla povertà e dalla disgregazione di sogni e affetti. 

Lo scopo
 

Marina. Nemmeno io sapevo di essere un poeta stimola l'empatia dello spettatore con la psiche, l'immaginario, l'emotività e l'affettività della Cvetaeva. 

 

Chi assiste allo spettacolo viaggia attraverso l'anima della poetessa, ne vive il sentimento che ispira ogni composizione, ne respira la stessa passione, ne comprende ognuna delle cause, è parte attiva di un processo, non passivo contemplatore o mero fruitore di una storia o di una biografia, ma ingaggiato a provarne sulla propria pelle il vigore dei turbamenti e la veemenza delle inquietudini.


Marina Cvetaeva è una scrittrice tornata prepotentemente alla ribalta popolare, per la versatilità dei temi da lei affrontati, delle sue vicissitudini esistenziali, dei suoi sentimenti e delle sue emozioni, per la straordinarietà della forza morale con cui rispose a essi e per lo slancio con cui, più e più volte, si rialzò dalle proprie cadute, sino alla tragicità di un epilogo da intendersi non come resa ma come atto di coraggio, una libera scelta di estrema autodeterminazione.

Impatto del progetto sulla Storia Contemporanea
 

Lo spettacolo è  un'occasione per realizzare che, esattamente cento anni dopo, la Storia si ripete pressoché identica a sé stessa: la Guerra costringe a una scelta, andare o restare? Come l'uomo e la donna di cultura reagiscono al cambio di regime che inevitabilmente il conflitto impone? Come muta il rapporto con chi, sino a prima dell'ostilità, si considerava amico?

 

Per chi va, la nostalgia di casa diventa malinconia di un tempo perduto che, ostinatamente, si tenta di ricreare ogni dove, alla ricerca di un dettaglio a cui ci si aggrappa con straziata malinconia, come una vecchia icona dimenticata al muro o il suono di una lingua famigliare a cui si tende l'orecchio e la mano.

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Lo spettacolo presenta un insieme coerente di peculiarità

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  • L'amalgama tra recitazione e danza, armonia di voce e contrappunto di movimento, per narrare Marina Cvetaeva mediante la sola interpretazione di poesie e lettere a uomini desiderati, amati, attesi, ma mai davvero conosciuti; l'opera è il racconto di un'anima, dalla giovinezza alla morte, quarantenne, per suicidio, tramite la ricerca e la reviviscenza attoriale e coreutica del movente sentimentale, emotivo e circostanziale che ispirò capolavori in versi come "Il poema della montagna" o zibaldoni in prosa poetica come l'epistolario dedicato e destinato a personalità di altissimo profilo letterario, su tutti Pasternak e Rilke

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  • Il minimalismo della scena - un tavolo, una sedia e un taccuino, inseparabile, su cui Cvetaeva annotava con impulsività, d'istinto, ogni suo pensiero - lascia spazio all'anima della poetessa, consente di empatizzare esclusivamente con la sua individualità, di percepire con integrità e potenza emozioni sottese a poesie, lettere e silenzi, ma, al contempo, richiama a un realismo che ricorda la solida e austera matericità del Teatro Greco

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  • L'impiego di brani estrapolati da sinfonie di chiara fama, composte da Shostakovich, Handel, Vivaldi, Schnittke, Chopin e Rachmaninov, come di una luce ad effetto pittorico di chiaroscuro, unitamente alla suggestione data da un calibrato uso ad effetto caldo del colore, per intensificare la drammaticità, la vulnerabilità e la cruciale delicatezza di alcuni passaggi emozionali.

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